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Andrea Aldrighetti sommelier consulenza esperto vino vini e grappa grappe

25 Ottobre 2012
Skywine 2012, manca ancora una risposta. La domanda era: "Trentino, un vino della montagna?"

Sono sopravvissuto, indenne, alla maratona del Forum del vino di Skywine: otto ore di pensieri, parole, opere e omissioni sul variegato e litigioso mondo del vino trentino.

Nella sala di Palazzo Azzolini ad Ala si sono ascoltati più "buoni propositi" che "visioni" da parte dei relatori: sommelier, produttori, manager, ricercatori, politici, giornalisti, tutti durante i loro interventi sono usciti poco dal ruolo che interpretano quotidianamente, come caratteristi di se stessi. Il manager parla da manager, l'assessore difende l'operato dell'assessore (e della cooperazione), il piccolo produttore "eco-bio" esalta la sua genuinità contadina, il giornalista (finalmente!) ammette che i blogger sono eticamente e moralmente pari ai giornalisti, cioè amano la marchetta se ben retribuita.

Nonostante la lunga giornata di relazioni e interventi, credo ci sia ancora spazio per alcune riflessioni.

L'argomento su cui ci si è più arrovellati è il legame del vino con il territorio di origine. Legame inteso come espressione di un luogo, di una cultura, di un'identità. La domanda sibillina che guidava lo sviluppo dei temi del Forum era "Trentino, un vino della montagna?".

Secondo il Cervim, l'istituto internazionale (ma valdostano d'origine) che si prefigge di valorizzare e studiare la viticoltura "eroica" e di "montagna", i parametri identificativi che distinguono questo tipo di coltura sono essenzialmente morfologici: la pendenza, l'altitudine, i terrazzamenti, la scarsa meccanizzazione dei vigneti. Una buona parte del Trentino viticolo può riconoscersi in questa catalogazione a prima vista semplicistica.

E' notevolmente più complicato trovare una definizione di vino di montagna (qui il Cervim non ci aiuta!). Quali caratteristiche dovrebbe avere? Lo si può stilizzare per il carattere di freschezza, acidità, fragranza, per il corpo esile ma con nerbo. Un vino figurato più di asperità che di levigatezze.

Il Trentino ha la fortuna di avere le Dolomiti, le montagne che il mondo ci invidia. I prodotti vitivinicoli del territorio possono presentarsi sul mercato nazionale o internazionale utilizzando l'immaginario della montagna, delle crode, della natura impervia e di bucoliche immagini di vigneti terrazzati con lo sfondo di panorami dolomitici per dare maggiore suggestione ed enfasi. Può funzionare ma di sicuro è poco autentico e rispettoso della realtà.

L'assessore all'agricoltura della provincia di Trento, Tiziano Mellarini, è convinto e lo ha affermato dal palco di Skywine: così com'è, la viticoltura trentina è "di montagna" e, come se non bastasse, "d'eccellenza".

Una doppia affermazione quasi a giustificare perché nel calderone comunicativo di Trentino Marketing, di Cavit, di produttori piccoli e grandi, spesso si presentano i vini trentini tout court come bollicine di montagna, bianchi di montagna, rossi di montagna, anche grazie a un'IGP "Vigneti delle Dolomiti" che lascia ampio spazio all'immaginazione del consumatore.

I consumatori di bottiglie trentine possono essere indotti a pensare di bere vini di montagna, figli di una viticoltura di montagna: ma non è così!

L'ho detto provocatoriamente durante il mio intervento al Forum del Vino e lo voglio ribadire.

Non riesco a pensare alla viticoltura trentina come ad una viticoltura di montagna.

Fatte le dovute eccezioni di qualche vino e di poche centinaia di ettari della Val di Cembra e di altre piccole oasi sparse sul territorio, trovo imbarazzante chiamare vigneti di montagna quelli della Piana Rotaliana o della Vallagarina, da cui provengono alcuni dei vini più conosciuti e riconoscibili del Trentino.

Se il valore aggiunto della montagna è difficilmente distinguibile nel bicchiere, se la montagna non partorisce il vino bandiera del territorio, tanto vale non affidare ai vigneti e ai vini trentini questo valore evocativo.

Sono invece convintissimo che i produttori e le cantine sociali debbano riappropriarsi dell'identità delle valli che compongono il Trentino: queste rappresentano la vera forza e peculiarità del territorio.

Le valli trentine intese come singoli "terroir" sono profondamente diverse e capaci ognuna di distingurersi per caratteristiche geomorfologiche, climatiche e per specificità della viticoltura: basti pensare alla Val di Cembra, alla Valle dei Laghi, al basso Sarca, alla Vallagarina, alle colline sopra Trento e la Valsugana, ai pendii tra Pressano, San Michele all'Adige e Faedo, alla Rotaliana.

L'invito ai produttori è di farsi interpreti sensibili del territorio, dei terreni e delle vigne e di rifuggire dall'ostentazione della tecnica, dalla varietà d’uva, dalla didattica viticola e enologica della Fondazione Mach, dalle mode, dalle barrique o dalle anfore, dalla costruzione di un archetipo.

Vogliamo (noi appassionati) bere vini sinceri e autentici, vogliamo riconoscere al primo assaggio i bianchi profumati e affusolati della Valle di Cembra (senza dimenticare la schiava!), i rossi croccanti e longevi della Vallagarina, i vini minerali e profondi di Pressano e Faedo, i Teroldego Rotaliano austeri e dal frutto polposo, i bianchi grassi e salati delle vigne tra Trento e la Valsugana.

Vogliamo vini ricchi di identità e anima.

 

 

[photo investintrentino.it ]

 

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